Chi possiede un cane, in fondo, lo sapeva già. Ma oggi anche la scienza è riuscita a dimostrare che i nostri amici a quattro zampe provano emozioni in modo molto simile agli esseri umani. La conferma arriva da una ricerca della Emory University, prestigioso ateneo privato di Atlanta, Georgia, condotta da un team di ricercatori guidati da Gregory Berns, professore di Neuroeconomia e autore di un editoriale pubblicato qualche giorno fa sul New York Times dal titolo “Dogs are people, too” (“Anche i cani sono persone”).
Dagli esami del Dott. Berns è emerso che il nucleo caudato dei cani, il ganglio del cervello che, negli esseri umani, si attiva quando anticipiamo concetti che associamo al piacere (ad esempio il cibo, l’amore, i soldi), è strutturato e funziona in modo molto simile a quello degli umani. Anche nei cani la sua attività aumenta se stimolato al pensiero di esperienze piacevoli. Durante l’esperimento è emerso che il nucleo caudato degli animali si attivava quando i ricercatori facevano un particolare gesto della mano che indicava che ci sarebbe stato un premio in cibo. Sensibili cambiamenti si notavano anche quando il cane percepiva odori umani e quando, nei test preliminari, il padrone tornava dopo essersi momentaneamente allontanato dal campo visivo dell’animale.
La ricerca è durata due anni e ha avuto come prima protagonista Callie, un terrier abbandonato che Berns ha adottato dal canile. E’ toccato poi a dozzine di altri cani, trattati tutti non come cavie, ma come esseri umani: “Abbiamo fatto firmare una liberatoria simile a quella utilizzata per i minori, firmata dal proprietario del cane. Abbiamo sottolineato che la partecipazione era volontaria e che il cane aveva il diritto di abbandonare l’esperimento”. Gli animali sono stati poi inseriti in una macchina per la risonanza magnetica, e qui sono emerse alcune difficoltà: l’apparecchio per la scansione è angusto e poco confortevole e, per poter effettuare la scansione, il soggetto deve rimanere completamente fermo; condizioni piuttosto stressanti per un animale, tanto più che sarebbe stato impossibile praticare l’anestesia (come consiglia il veterinario), che avrebbe impedito l’osservazione del cervello in attività. “Abbiamo usato solo il metodo del training positivo (un tipo di allenamento che consiste nel premiare l’animale quando svolge bene un compito, in genere con del cibo, ndr). Nessuna anestesia, nessuna forzatura. Se il cane non voleva entrare nella macchina della risonanza magnetica, era libero di non farlo. Così come possono farlo gli esseri umani”.
Berns precisa che questa ricerca non prova necessariamente che i cani ci amano ma, piuttosto, può portare a descrivere in modo più approfondito come funzionano le emozioni dei nostri amici a quattro zampe. “La capacità di provare emozioni, come l’amore e l’affetto, potrebbe significare che i cani hanno un livello di consapevolezza di sé comparabile a quello dei bambini. E questa capacità suggerisce che dobbiamo riconsiderare il modo in cui trattiamo i cani”. Lo studio della mente canina, aggiunge Berns, “fornisce anche uno specchio privilegiato attraverso il quale osservare la mente umana; dato che sono stati gli esseri umani a ‘creare’ i cani, attraverso l’addomesticamento, la mente canina riflette il modo in cui noi vediamo noi stessi attraverso gli occhi, le orecchie e i nasi di un’altra specie”.