L’ultima analisi dell’Istat, effettuata sul territorio nazionale, evidenzia che nel 2102 sono stati celebrati in Italia 207.138 matrimoni (3,5 ogni 1.000 abitanti), 2.308 in più rispetto al 2011. Questo lieve aumento si inserisce in una tendenza alla diminuzione dei matrimoni in atto dal 1972: in particolare, negli ultimi 20 anni il calo annuo è stato in media dell’1,2% mentre dal 2008 al 2011 si sono avute oltre 45mila celebrazioni in meno (in percentuale, -4,8% annuo tra il 2007 e il 2011).
Diminuiscono ancora, però, le prime nozze tra sposi entrambi di cittadinanza italiana, che sono state 153.311 nel 2012. La minore propensione a sancire con il vincolo matrimoniale la prima unione è da mettere in relazione in parte con la progressiva diffusione delle unioni di fatto, che da circa mezzo milione nel 2007 hanno superato il milione nel 2011-202. In particolare sono proprio le convivenze “more uxorio” tra partner celibi e nubili ad aver fatto registrare l’incremento più sostenuto (594 mila nel 2011-2012).
La conferma di questo mutato atteggiamento sembra pervenire anche dalle informazioni sulle coppie di fatto con figli: l’incidenza di bambini nati al di fuori del matrimonio è in continuo aumento tanto che nel 2012 un nato su 4 ha genitori non coniugati.
Accanto alla scelta dell’unione di fatto come modalità alternativa al matrimonio, sono in continuo aumento le convivenze pre-matrimoniali, le quali possono avere un effetto sulla posticipazione del primo matrimonio. E’ però soprattutto la sempre più prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine a determinare il rinvio delle prime nozze: nel 2012 vivono nella famiglia di origine il 52,3% dei maschi e il 35% delle femmine tra 25 e 34 anni di età. Questo fenomeno è dovuto a molteplici fattori: all’aumento diffuso della scolarizzazione e all’allungamento dei tempi formatici, alle difficoltà che incontrano i giovani nell’ingresso nel mondo del lavoro e alla condizione di precarietà del lavoro stesso, alle difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni. L’effetto di tali fattori è stato amplificato negli ultimi quattro anni da una congiuntura economica sfavorevole che ho colpito in particolare l’occupazione dei giovani e che ha contribuito ad accentuare un diffuso senso di precarietà e di incertezza. Le condizioni descritte risultano sempre più vincolanti sia per gli uomini che per le donne, pesando sulla decisione di formare una famiglia e sui comportamenti nuziali. La nuzialità, infatti, a differenza di altri fenomeni demografici, come ad esempio la fecondità, è particolarmente sensibile a fenomeni congiunturali.
A questo proposito è interessante valutare come è cambiata la propensione al primo matrimonio considerando il livello di istruzione degli sposi una caratteristica che da un lato è riconducibile allo status socio-economico e dall’altro è associata a comportamenti differenziali in merito alle modalità di formazione della famiglia. Confrontando i tassi di primo nuzialità rispettivamente degli sposi e delle spose con basso livello di istruzione (fino alla licenza media) e di quelli con livello medio-alto di conferma una riduzione generalizzata della propensione a sposarsi. La flessione è, tuttavia, più accentuata per gli sposi e le spose con basso livello di istruzione: tra il 2003 ed il 2012, ad esempio, i tassi di primo nuzialità degli sposi con basso titolo di studio sono diminuiti del 25% per gli uomini e del 28% per le donne e, nello stesso periodo, per gli sposi con livello di istruzione medio-alto la diminuzione è stata del 18% per gli uomini e del 14% per le donne.
Si osserva pertanto un accentuarsi del fenomeno della posticipazione, cioè del rinvio delle prime nozze ad età più mature, fenomeno ormai in atto dalla metà degli anni ’70 ma che nell’ultimo quinquennio si è ancora accentuato. Attualmente gli sposi al primo matrimonio hanno, in media, quasi 34 anni e le spose quasi 31, circa sette anni più rispetto ai valori osservati nel 1975.
In ripresa, invece, i matrimoni misti, ossia con un coniuge italiano e l’altro straniero, che nel 2012 sono stati 20.764: essi rappresentano la tipologia prevalente (68%) dei matrimoni con almeno uno sposo straniero. Tra il 2008 ed il 2010 si era registrata una battuta d’arresto del trend di aumento dei matrimoni con almeno uno sposo straniero, mentre nel biennio 2077-2012 si osserva una decisa ripresa del fenomeno. Il calo dei matrimoni con almeno uno sposo straniero osservato nel 2009-2010 è da ricondurre soprattutto all’introduzione dell’art. 1 comma 15 della legge n. 94/2009, che ha imposto allo straniero che volesse contrarre matrimonio in Italia l’obbligo di esibire, oltre al tradizionale nulla osta (o certificato di capacità matrimoniale), anche un “documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano”. L’impossibilità di attestare tale regolarità ha influenzato le decisioni di molti futuri sposi, inducendoli a rinunciare alla celebrazione del matrimonio in Italia e facendoli eventualmente optare per sposarsi all’estero. Verosimilmente, la successiva sentenza di illegittimità costituzionale relativamente alla richiesta di esibizione del permesso di soggiorno ai fini del matrimonio, emessa dalla Corte Costituzionale a Luglio del 2011, è alla base della ripresa del fenomeno.
Il fenomeno dei matrimoni misti riguarda in larga misura coppie in cui la sposa o lo sposo provengono da un paese a forte pressione migratoria. Gli uomini italiani che nel 2012 hanno sposato una cittadina straniera hanno nel 17,4% dei casi una moglie rumena, nel 10,9% un’ucraina e nel 7,2% una brasiliana. Le donne italiane che hanno sposato un cittadino straniero, invece, hanno scelto più spesso uomini provenienti dal Marocco (15%) e dall’Albania (7,8%). Se ai primi si aggiungono i casi in cui la sposa è italiana e lo sposo è tunisino o egiziano la percentuale dei mariti nordafricani nei matrimoni misti sale al 27,3%. Un altro 16% è rappresentato, invece, da mariti “culturalmente più vicini” se si considerano cittadinanze come Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Spagna e Francia.
I casi in cui entrambi gli sposi sono stranieri continuano a rappresentare una minoranza (il 4,8% dei matrimoni totali) e quasi di dimezzano quando si considerano solo quelli in cui almeno uno dei due sposi è residente in Italia. Il nostro Paese esercita, infatti, un’attrazione per numerosi cittadini provenienti soprattutto da paesi a sviluppo avanzato, che lo scelgono come luogo di celebrazione delle nozze.
Se si considerano solo i matrimoni con entrambi gli sposi stranieri ed almeno uno dei due residente in Italia, i più diffusi sono i matrimoni tra rumeni, seguiti dai cinesi e dai nigeriani. All’opposto alcune comunità immigrate, altrettanto numerose, si sposano in Italia meno frequentemente, come ad esempio i cittadini marocchini o albanesi.
Le ragioni di questi diversi comportamenti nuziali vanno ricercate, verosimilmente, nei progetti migratori e nelle caratteristiche culturali proprie delle diverse comunità: in molti casi, infatti, i cittadini immigrati si sposano nel paese di origine e i coniugi affrontano insieme l’esperienza migratoria, oppure si ricongiungono nel nostro Paese quando uno dei due si è stabilizzato.
Anche i secondi matrimoni calano, da 34.137 del 2008 a 32.555 del 2012, ma la loro quota sul totale è tuttavia in crescita dal 13,8% al 2008 al 15,7% del 2012.
Gli uomini si risposano in media a 50 anni se sono divorziati e a 63 se sono vedovi, mentre le donne hanno, alle seconde nozze, mediamente 44 anni se divorziate e 21 se vedove.
La tipologia più frequente tra i matrimoni successivi al primo è quella in cui lo sposo è divorziato e la sposa è nubile (quasi 12mila nozze, il 5,7% dei matrimoni celebrati nel 2012), mentre sono più di 9mila (4,6% del totale) le celebrazioni in cui è la sposa ad essere divorziata e lo sposo è celibe. Questi matrimoni avvengono quasi sempre con il rito civile: possono infatti essere celebrati con rito religioso solo quelli in cui il primo matrimonio era stato celebrato in Comune e quelli in cui, oltre all’annullamento degli effetti civili, si è ottenuto anche l’annullamento religioso del matrimonio.
Inoltre, i dati statistici mostrano un incremento della percentuale dei matrimoni civili: nel 2012, infatti, ne sono stati celebrati 84.841, circa 4.500 in più rispetto all’anno precedente ma ancora 5.741 in meno rispetto al 2008 (-6,3%). Questa differenza negativa rispetto ai massimi toccati cinque anni prima è dovuta quasi totalmente alla riduzione dei matrimoni con almeno uno sposo stranero, ben 5.362 in meno rispetto al 2008 (-16,8%). In termini relativi, tuttavia, la percentuale dei matrimoni celebrati civilmente continua a crescere: siamo passati dal 37% nel 2008 al 39% nel 2011, al 41% del 2012.
La scelta sempre più frequente del rito civile è da attribuire in pare alla crescente diffusione dei matrimoni successivi al primo e dei matrimoni con almeno uno sposo straniero. Questa scelta, tuttavia, riguarda sempre più spesso anche le prime unioni: nel 2012 il 31,5% delle nozze tra celibi e nubili è stato celebrato in questo modo (55.076 nozze) e considerando solo quelle in cui gli sposi sono entrambi italiani, l’incidenza è pari a quasi uno su quattro, una proporzione più che doppia rispetto a 15 anni prima.
La scelta del rito civile per la celebrazione del primo matrimonio si è progressivamente diffusa in tutti gli strati della popolazione, sebbene con ritmi di incremento differenziati. A questo proposito è interessante quanto emerge quando si distinguono gli sposi italiani per livello di istruzione: la serie storica mostra, che dalla metà degli anni ’90, in concomitanza con l’estendersi dei comportamenti secolarizzati a tutte le fasce della popolazione, si è invertita la relazione tra livello di istruzione e incidenza dei primi matrimoni civili; questi ultimi, infatti, sono aumentati di più per gli sposi che hanno conseguito al massimo la licenza media rispetto ai laureati. Secondo i dati relativi, infatti, nel 2012 hanno scelto la cerimonia in Comune poco meno del 30% degli sposi con un livello di istruzione basso, il 23% di quelli con un livello medio e il 21% dei laureati.
Infine, si conferma la prevalenza dei matrimoni in regime di separazione dei beni (oltre due su tre, relativamente il 68,9% dei matrimoni totali) e non si riscontrano più differenze di rilievo nelle diverse ripartizioni. Considerando la distribuzione per livello di istruzione degli sposi rispetto alla scelta del regime di separazione dei beni si può notare infatti come, passando dal livello più basso a quello più elevato aumenti lievemente la quota di coloro che propendono per questa opzione: si passa dal 66% degli sposi con titolo basso (65% delle spose) al 70% degli sposi con titolo medio (69% delle spose) per arrivare, infine, al 71% per entrambi gli sposi con titolo alto.