I cosiddetti cavallini della Giara, costituiscono una specie molto rara, i cui esemplari hanno una larghissima diffusione in Sardegna. Una specie equina selvatica, diffusa nell’altopiano della Giara, zona centro meridionale dell’isola tra Sarcidano e la Bassa Marmilla, ed il promontorio del Capo Caccia (Algero).
Si tratta di una specie molto vicina ai cavalli africani, probabilmente quelli importanti dai naviganti Fenici nel X secolo avanti Cristo, o dai Greci tra il V ed il IV secolo a. C. Sono cavalli in miniatura che vivono in Sardegna da lunghissimo tempo, ma secondo gli studiosi non costituiscono una razza autoctona. Infatti, non sono mai stati trovati resti di fossili appartenenti a questa specie, antecedenti al periodo tardo nauragico, ovvero relativi all’arco di tempo prima dell’ingresso delle popolazioni orientali che colonizzarono l’isola.
La cosiddetta razza della Giara è la sola sopravvissuta tra gli altri branchi di cavalli selvatici, che avevano occupato la Sardegna nel periodo del tardo medioevo. Si tratta di esemplari che non superano il metro e mezzo di statura e presentano un mantello, un tempo bruno, oggi per via degli incroci ed evoluzione della razza, anche morello, baio o sauri (un colore tra il marrone e il rossastro). Questi cavalli non presentano balzane (le tipiche macchie bianche sugli arti inferiori) o segni sulla fronte. Per quanto riguarda la criniera e la coda, queste sono particolarmente folte, ed hanno dolcissimi occhi a mandorla, contornati da un simpaticissimo ciuffo sulla fronte.
L’intenzione è quella di lasciarli allo strato brado, facendoli correre liberamente negli ampissimi campi dell’altopiano della Giara, tra sugherete, vasti prati al pascolo e abbeveratoi naturali comi i “paùlis”, saltuari ristagni d’acqua temporanei. Si è deciso di lasciarli selvatici per due motivi, il primo, per garantire la sopravvivenza di un sistema genetico ormai scomparso negli esemplari addomesticati, il secondo per fare in modo che si adattino ai cambiamenti climatici. In questo modo la razza determinerà un nuovo sistema genetico che gli consentirà di sopravvivere anche difronte ai cambiamenti dell’ambiente in cui vivono, come temperature eccessivamente alte o basse, siccità o cariche parassitarie.