Ventitremila chilometri cubi d’acqua è una misura che sfugge alla comprensione. Meglio, forse, dirla così: se allagassero l’intera superficie delle terre emerse, a tutte le latitudini ci troveremmo bagnati fino al polpaccio. L’acqua in questione è quella del Baikal che, con 336 tributari e un solo emissario, è il lago d’acqua dolce più grande del mondo. Sesto per estensione, deve il primato alla profondità, 1741 metri, una misura vicina soltanto a quella della Fossa delle Marianne.
Parte di quell’entità, più filosofica che geografica, nota come Siberia, si trova 4300 chilometri a est di Mosca, 3700 a ovest del Pacifico, 250 a nord delle steppe della Mongolia e a sud del nulla. Buona parte dei 2000 chilometri delle sue sponde, ripide e foderate da foreste di conifere, sono irraggiungibili via terra e le sue acque sono così pure da essere considerate una categoria kantiana. La sua superficie si ghiaccia, spesso in una sola notte intrappolando le onde in sculture metafisiche, verso fine ottobre, e rimane così per cinque mesi, fino al lento disgelo.
È allora che danno alla luce i cuccioli i più curiosi residenti del lago, quei nerpa dalla pelliccia bianca che, per una delle stranezze dell’evoluzione, sono l’unica specie di foca d’acqua dolce del pianeta. Quanto agli Evenki, la stirpe di pastori nomadi di renne, hanno nella loro lingua una parola, baigal, che riunisce i concetti di “mare” e “abbondanza”. Per loro il Baikal è ammantato di una mistica sacra.
Detta così, questo luogo è così estraneo al nostro mondo da apparire irraggiungibile, eppure la faccenda è molto diversa. In estate, quando nella regione del Baikal le temperature si assestano sui piacevoli 20 gradi, per i russi e per un numero sempre crescente di stranieri il lago diventa una desiderabile meta turistica. Per arrivarci ci sono comodi voli internazionali per Irkutsk, la città che, fondata dai cosacchi, ha il duplice titolo di Parigi della Siberia e di capitale del Baikal. E, da lì, basta un viaggio di 70 chilometri a bordo del treno che percorre la Transbaikal, una delle diramazioni della leggendaria ferrovia Transiberiana, fino a Listvyanka, la cittadina lacustre che i russi, con una propensione all’esagerazione, chiamano “la perla della Baikal Riviera”.
A Listvyanka le case tradizionali in legno e le cupole a cipol- la delle chiese ortodosse, copie mignon di San Basilio in versione Hansel e Gretel , sono assediate da alberghi stile soviet. E va da sé che qui merita fermarsi un giorno per gustare una cucina locale a base di omul e sig, parenti della trota e del salmone (da accompagnare con tè di funghi di betulla o con la vodka) e organizzare una battuta di pesca o escursioni in barca verso le straordinarie mete naturalistiche lungo le sponde.
Il territorio a ridosso del Baikal è un susseguirsi di parchi nazionali che dal 1996 fanno parte del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco mentre oggi quel network di aree protette è parzialmente accessibile agli amanti del trekking grazie alla creazione del Great Baikal Trail: d’estate un’organizzazione non governativa internazionale cerca volontari per partecipare alla costruzione dei sentieri offrendo vacanze faticose e indimenticabili.