La redazione del Corriere di Salerno ha incontrato Antonello De Rosa, regista della compagnia teatrale “Scena Teatro”, che questa mattina si è esibita presso la sala Truffaut della Cittadella del Cinema di Giffoni Valle Piana, mettendo in scena lo spettacolo intitolato “Il campo di Dora”, in memoria dell’Olocausto.
Come nasce “Il campo di Dora”?
Ho conosciuto la responsabile dell’associazione nazionale “Ex deportati”, che era stata rinchiusa in questo campo sotterraneo, riservato a donne e bambini, adatti a lavorare su congegni meccanici per cui erano necessarie dita piccole e affusolate. Infatti, si tratta di un racconto visto soprattutto dagli occhi dei bambini. Tutto ciò che essi raccontano, però, è in bianco e nero perché vivendo sotto terra avevano la vista alterata. Questo racconto non si allontana dalle altre rappresentazioni. Che l’ambientazione sia Auschwitz o Birkenau la vicenda tragica è la stessa. Abbiamo rappresentato questo spettacolo per la prima volta quattro anni fa a Roma. La scena si apre con i cani che abbaiano. Si tratta di un particolare che la responsabile dell’associazione mi ha chiesto di non omettere, al di là di ogni rivisitazione. Cani che lei vide e sentì quando scese dai vagoni e nei quali riconobbe qualcosa di negativo, non l’amico dell’uomo.
Il fatto che i campi di sterminio di Dora siano meno conosciuti e che non fossero stati dichiarati tali fino ad un certo momento, ha influito sulla scelta di ambientare proprio lì lo spettacolo?
I bambini che verranno oggi non li conoscono, sicuramente. Forse conoscono poco anche Auschwitz. Non a causa loro. Noi siamo demandatari, in questo senso. Il teatro ha una funzione civile importantissima. Come nel caso dell’Isis (Stato islamico dell’Iraq e della Grande Siria), lo sterminio è stato premeditato. Le leggi razziali risalgono agli anni ’30 e la guerra è degli anni ‘40/’45. Sono intercorsi dieci anni di elaborazione e di organizzazione dello sterminio. Hitler era un folle, non un pazzo. La pazzia è poetica, la follia è malvagia e calcolata. Avevano calcolato tutto. Così ammazzi 10 milioni di persone?
Gli accadimenti in Francia costituiscono, per traslato, una forma di Olocausto moderno, come anche le stesse forme estreme di integralismo e fanatismo? L’Olocausto esiste ancora e perché?
Si, sicuramente gli eventi in Francia possono essere considerati una forma di Olocausto moderno, che, quindi, esiste ancora. Esiste perché siamo invasi dal dominio di onnipotenza, pensiamo di poter cambiare le cose, cancellando la memoria delle persone. Perché desideriamo che il mondo giri come vogliamo, senza interloquire con gli altri. Tutto può tornare, invece. Quando l’uomo arriva al punto di non riconoscersi più abbiamo la situazione francese. Sono per ogni forma di libertà, ma l’abbiamo travisata perché la confondiamo con la mancanza di rispetto. Abbiamo consegnato a questi ragazzi un’epoca particolare, su cui domina la tecnologia, non più il dialogo e la cultura. La cultura è leggere, capire, dissentire, ma con rispetto, rapportarsi con il diverso, aprire la propria mente. Oggi, invece, il diverso non si accetta. Ecco allora che irrompono l’onnipotenza, l’arroganza. Inutile riempire lo spettacolo di paroloni: si riduce alla mancanza di rispetto.
La situazione del teatro moderno è vacillante. La crisi che sta vivendo è morale o finanziaria? O entrambe? Perché i giovani preferiscono il cinema?
La crisi finanziaria esiste dalla notte dei tempi. I ragazzi preferiscono il cinema perché c’è una distanza. Loro vedono sullo schermo cosa succede, non c’è lo sforzo mentale evocativo. C’è l’immagine, non pensano. È già tutto inquadrato. Il cinema non ti impone di pensare. A teatro, invece, non c’è niente. Ci sono solo i corpi degli attori e il pubblico è obbligato a usare la fantasia, l’immaginazione, attraverso il racconto degli attori. Questo dove non c’è la scenografia. L’immaginazione implica uno sforzo mentale. Giornate intere davanti al pc uccidono la fantasia. Con un clic si ottiene tutto, quando bisognerebbe cliccare con la propria mente. Per questo il teatro è in crisi, perché obbliga a pensare e pensare è faticoso.
Come reagiranno i ragazzi dinanzi alla realtà dei campi di Dora?
È probabile che questa mattina a teatro per non andare a scuola, ma una buona percentuale di risposta positiva solitamente c’è. Mi sono sempre dovuto ricredere. I ragazzi sono sensibili. Seppur sotto una forma di paura, pensano comunque: “Speriamo non arrivi più”. Invece, sotto forme diverse, come dicevamo prima, esiste ancora. Ci nascondiamo dietro la maschera della civiltà, ma, anche semplicemente nella quotidianità, ci sono continue situazioni di combattimento. Anche queste sono forme razziali. L’importante è far sapere, più che mandare un messaggio. Il teatro civile è fondamentale perché ragazzi ignorano.
Quanti attori si esibiranno?
Cinque attori: quattro donne e un uomo. Quest’ultimo interpreta il nazista, ma non quello cattivo. Ha il cappotto nazista, ma con le ali, infatti. Non tutti i tedeschi erano cattivi. Sapere questo è importante per evitare di accendere altre micce e altri fanatismi. Molti erano costretti a eseguire gli ordini, altrimenti sarebbero morti. Non potevano rifiutarsi. Oggi tutto sta diventano fanatismo e questo è la rovina di tutto. Tutto ciò che è eccessivo fa perdere il controllo. E l’Olocausto ne costituisce la prova tangibile e innegabile. Negare l’evidenza rappresenta il pericolo più grande perché puoi arrivare al punto di uccidere una persona e dire di non averlo mai fatto.
Raissa Pergola
Video: L’intervento delle autorità di Giffoni prima dello spettacolo