Piazza degli Eroi di Thomas Bernhard, traduzione Roberto Menin, regia Roberto Andò. Con Renato Carpentieri, Imma Villa, Betti Pedrazzi, Silvia Ajelli, Paolo Cresta, Francesca Cutolo, Stefano Jotti, Valeria Luchetti, Vincenzo Pasquariello, Enzo Salomone.
Scene e luci Gianni Carluccio, costumi Daniela Cernigliaro suono Hubert Westkemper aiuto regia Luca Bargagna assistente alle scene Sebastiana Di Gesù, assistente ai costumi Pina Sorrentino, produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Fondazione Teatro della Toscana – Teatro Nazionale.
Piazza degli Eroi (Heldenplatz) apparso nel 1988, è l’ultimo testo teatrale di Thomas Bernhard, e uno dei suoi indiscussi capolavori.
Quando il grande scrittore austriaco morì, il 12 febbraio del 1989, il pubblico che lo aveva amato recepì il messaggio di radicale drammaticità di quest’opera con un’emozione talmente intensa da risultare insopportabile, e lo associò all’atto notarile che lo scrittore aveva depositato, a quel testamento in cui, con altrettanta visionaria provocazione, Bernhard aveva disposto che nel suo paese d’origine fosse vietata sia la pubblicazione dei suoi testi, sia la loro messinscena.
Il clamore suscitato a Vienna al debutto di Piazza degli Eroi confermò l’immagine di uno scrittore furiosamente critico nei confronti del permanere in Austria di strutture autoritarie e fasciste, e il giudizio feroce per la classe politica che vi si era impiantata dal dopoguerra, colpevole di non aver mai veramente tagliato col passato nazista.
Piazza degli eroi è dunque il testo più politico di Thomas Bernhard, beninteso nella cifra esistenziale e metafisica che alla politica ha sempre voluto attribuire questo autore.
Pur essendo ritenuto una summa dei temi di questo autentico genio della letteratura e del teatro, ed essere stato sin dalla sua apparizione oggetto di importanti messinscene in Europa e nel mondo, Piazza degli Eroi non è mai stato rappresentato in Italia.
Negli ultimi anni ho pensato molte volte di farlo e ora, in apertura di un nuovo ciclo della mia vita di uomo di teatro a Napoli, alla direzione del Teatro Stabile, ho pensato che fosse arrivato il momento giusto. Giusto e opportuno.
La letteratura critica dedicata al grande drammaturgo ha evidenziato come nei lavori di Bernhard non ci siano quasi mai riferimenti temporali e come le indicazioni di luogo siano sempre ridotte al minimo. Non si può dire lo stesso per Piazza degli Eroi dove, al contrario, compaiono nomi di luoghi e date, a cominciare dall’indicazione iniziale: Vienna, marzo 1988.
Nel disegnare il suo estremo congedo dalla vita e dal teatro, Bernhard sceglie di dare un nome e un tempo all’ottusità brutale che vede avanzare. Ma, come sempre accade in un’opera di fantasia, l’Austria di Bernhard è insieme un luogo concreto e una metafora. Così come lo è la piazza che dà nome al testo, la stessa in cui nel 1938 Hitler annunciò alla folla acclamante l’Anschluss, l’annessione dell’Austria al destino nazista della Germania.
Se è venuto il tempo di rappresentare in Italia Piazza degli Eroi è proprio perché, a dispetto della inedita precisione realistica di Bernhard, oggi per comprendere il senso di questo testo visionario e catastrofico non servono indicazioni di luogo e di tempo.
Ognuno degli spettatori che assisterà a una recita di Piazza degli Eroi, capirà subito che l’azione si svolge in una qualsiasi piazza da comizio, di una qualsiasi città d’Europa.
L’Austria di Bernhard (dallo scrittore intravista profeticamente nei primi consensi per Haider), nel giro di una trentina e passa d’anni, è ormai ovunque.
La storia del professor Schuster, una mente matematica filosofica, suicida per protesta contro l’avanzare della barbarie antisemita, è raccontata dal drammaturgo in una partitura a più voci, modulando un’orchestrazione perfetta dove appaiono, come relitti, citazioni di altri grandi testi. Tra tutti: Il giardino dei ciliegi di Čechov. La piazza e le voci inneggianti che si levano a disturbare la mente sconvolta della vedova del suicida, sono la piazza e le voci che ovunque nell’Europa smarrita di oggi invocano l’uomo forte, “un regista che li sprofondi definitivamente nel baratro”, come dice lo zio Robert, il fratello del suicida, parafrasando lo stesso Bernhard.
Ad affiancarmi in questa impegnativa impresa, quali cerimonieri e testimoni del mio incontro con Napoli, ho chiamato Renato Carpentieri, geniale attore e intellettuale, da tempo mio complice, e Imma Villa, una delle grandi interpreti del teatro italiano, un’artista della scena la cui fama non è ancora pari al talento.