Da Nord a Sud le imprese italiane dialogano e hanno relazione, anche se preferiscono non impegnarsi formalmente e quelle del Sud hanno relazioni meno intense. Le sinergie nascono principalmente per abbattere i costi di produzione, innovare prodotti e servizi, accedere a nuove tecnologie ed entrare in nuovi mercati.
Sono questi i principali elementi che emergono dai dati raccolti dall’Istat nell’ambito delle attività connesse al 9° Censimento Generale dell’Industria e dei Servizi. I risultati si riferiscono ad una fase di evoluzione del sistema produttivo italiano (nel biennio 2011-2012) nella quale emerge con sempre maggiore forza l’importanza di adottare strategie complesse, legate ad investimenti in conoscenza, flessibilità produttivo/organizzativa e capacità di ridisegnare le catene del valore. Le informazioni, rilevate sul totale delle imprese con almeno 20 addetti e su un ampio campione di imprese tra i 3 e 9 addetti, si aggiungono a quelle dei registri statistici e consentono una mappatura completa delle imprese con almeno 3 addetti (circa 1 milione e 50 mila).
I dati del Censimento evidenziano che il 63,3 % delle imprese con almeno 3 addetti (oltre 660 mila unità) dichiara di intrattenere almeno una relazione stabile – di tipo contrattuale o informale – con altre aziende o istituzioni. L’attivazione di accordi produttivi interessa in misura maggiore le grandi imprese (90%) e i settori Costruzioni (85%) e Industria in senso stretto (76%). A livello territoriale la distinzione emerge soprattutto su base provinciale, senza significative distinzioni tra nord e sud.
Tra le tipologie di relazioni, prevalgono quelle meno impegnative come gli accordi di commessa e fornitura (rispettivamente il 74,1% e 56,6% delle imprese con relazioni). Meno frequenti e ad appannaggio soprattutto delle grandi imprese i legami formali come consorzi (7%), contratti di rete (4%) e franchising (3,3%).
Coerentemente con il difficile quadro economico attraversato dalle imprese nel periodo di riferimento, la relazione serve all’impresa principalmente per ridurre i costi di produzione, finalità perseguita con tutte le tipologie di relazione e che coinvolge circa il 60% delle imprese. Gli accordi formali sono invece generalmente più utilizzati nel perseguimento di finalità più complesse, quali l’innovazione di prodotto o processo (lo dichiara il 28,8% delle imprese), l’accesso a nuove conoscenze e tecnologie (22,5%) o a nuovi mercati (32,2%), la ricerca di maggiore flessibilità produttiva (22,4%) e, in misura molto inferiore, l’internazionalizzazione (8%).
Le relazioni di cooperazione produttiva sono solitamente associate a strategie aziendali più articolate e meno difensive: le imprese che hanno attivato accordi interaziendali sono significativamente più orientate all’aumento della gamma di prodotti e servizi offerti (44% e 36%) e si rivolgono a nuovi mercati in misura doppia rispetto alle imprese prive di relazioni (27,1% contro 13,7%).
Il ruolo degli accordi produttivi nell’accompagnare le strategie delle imprese appare evidente anche con riferimento all’attività innovativa. La quota di imprese che dichiarano di avere introdotto innovazioni (di prodotto, di processo, organizzative o di marketing) è sistematicamente più elevata tra le aziende con relazioni. Il fenomeno si presenta maggiormente tra le microimprese e tende ad assottigliarsi tra le grandi. Tra le microimprese, ad esempio, si dichiarano innovatrici il 38,4% delle unità “interconnesse” e il 23,4% di quelle “isolate”.
Quel che risalta maggiormente, tuttavia, è che le relazioni consentono almeno in parte di compensare il gap legato alle dimensioni, rispetto alle realtà più grandi ma con meno relazioni.
La presenza di relazioni si associa anche a una maggiore articolazione delle fonti di finanziamento. In particolare, sia nelle imprese con 3-19 addetti sia in quelle con almeno 20 addetti, si osserva una minore incidenza dell’autofinanziamento e un maggiore ricorso al credito bancario e alla raccolta di fondi sui mercati finanziari.
Le relazioni tra le imprese determinano effetti sulla competitività aziendale, in particolare oltre confine. Stando alle dichiarazioni delle imprese, emerge che, con riferimento alla competitività sul mercato nazionale, il saldo generale tra le aziende che percepiscono un miglioramento e quelle che colgono un peggioramento della competitività è nel complesso leggermente negativo (19,2% contro 21%), ma nasconde significative diversità a seconda della dimensione d’impresa, poiché un saldo negativo si osserva solo nell’ambito delle imprese con meno di 10 addetti. In tutte le altre classi dimensionali, a cominciare da quella relativa alle piccole imprese, il saldo tra valutazioni positive e negative sulla competitività è positivo e cresce all’aumentare delle dimensioni aziendali. Sul risultato influisce certamente anche un quadro macroeconomico che, nel periodo di riferimento (il triennio 2010-2012), è stato complessivamente sfavorevole.
Sebbene sia più elevato il numero di imprese che dichiara di non poter trarre conclusioni in merito agli effetti degli accordi sulla competitività sui mercati internazionali, , il saldo complessivo tra le valutazioni di miglioramento e di peggioramento è positivo. Le imprese che hanno visto migliorare la propria competitività estera sono il doppio di quelle secondo cui è peggiorata. L’andamento si ripete identico in tutte le classi dimensionali, e la quota di imprese che esprimono un miglioramento della propria competitività all’estero grazie agli accordi, va dal 20% – nel caso delle micro imprese – a oltre il 30% nel caso delle grandi. Il settore di attività non influisce in maniera significativa ma il saldo è positivo soprattutto tra le imprese della chimica, della farmaceutica, delle bevande, dei macchinari e nei servizi di ricerca scientifica e sviluppo.
Le risposte delle imprese sulla loro capacità di attivare relazioni interaziendali consentono di costruire una prima misura sintetica dell’intensità (oltre che della presenza) degli accordi di cooperazione.
L’analisi degli indicatori elementari (ampiezza della rete di soggetti coinvolti, estensione geografica delle relazioni, varietà degli strumenti per realizzare gli accordi) fornisce un “indicatore di connettività” (ICO) che misura l’intensità delle relazioni di ciascuna impresa.
I valori dell’ICO confermano, e in parte rafforzano, l’immagine di un sistema produttivo attraversato da un utilizzo di accordi di collaborazione diffusi ma di diversa intensità. A fronte di un grado di connettività medio pari a 15,7, l’intensità delle relazioni aumenta al crescere della dimensione d’impresa (come già nel caso della presenza stessa delle relazioni): passando dalle microimprese alle piccole l’intensità media aumenta del 25% (da 14,7 a 18,3), fino ad aumentare del 70% in corrispondenza delle aziende di maggiore dimensione (25,6).
Sul piano settoriale, i comparti nei quali gli accordi intrattenuti dalle imprese sono più intensi risultano: manifattura (intensità media pari a 18,6), trasporto e magazzinaggio (16,5), forniture energetiche e commercio (entrambi con 16,3). Nel comparto delle costruzioni le relazioni sono più diffuse ma presentano un’intensità (14,5) inferiore alla media. All’estremo opposto, i settori immobiliare (10,7), sanità e assistenza (10,7), altri servizi (11,5) e attività finanziarie e assicurative (11,5).
La mappatura territoriale dell’intensità delle relazioni corregge in parte il quadro fornito dalla semplice esistenza di accordi.
Nelle province settentrionali si registrano relazioni a più elevata intensità, con un grado medio di connettività pari a 16,6 e 16,7 nel Nord-ovest e Nord-est. Nelle province meridionali invece il valore medio risulta pari a 13: in altri termini, nel Sud, anche laddove le relazioni sono diffuse, risultano tuttavia mediamente poco intense.