profiloSalerno. Per chi pensa che il teatro classico non esista più si sbaglia di grosso. I registi salernitani della nuova generazione teatrale si affacciano a svariate tipologie di teatro, da quella classica a quella sperimentale, personalizzando il messaggio che vuole arrivare al pubblico in poltrona rossa. Si parla di Gianni D’Amato, autore e regista dei testi che porta in scena con la Compagnia Teatrale “Le Ombre”.

Chi è Gianni D’Amato?

“Gianni D’Amato è un ragazzo di 25 anni da sempre con la passione del teatro, dell’arte in generale. Maggiormente per le arti recitative, per quanto la parola recitare non mi aggrada in maniera particolare. Diceva Carmelo Bene recitare significa citare due volte, io non cito nemmeno. Meglio un termine come “interpretare”, tutte le arti interpretative sono le mie passioni. Mi sono avvicinato al teatro all’età di 13 anni calcando il palcoscenico e da tre anni circa sono tra i professionisti. Si cerca di fare il mestiere della propria vita.”

Soffermiamoci prima su come Gianni nasce da attore per poi passare al ruolo di leader di una compagnia teatrale, quale “Le Ombre”. Quale spettacolo ti ha fatto capire che saresti stato parte del mondo del palcoscenico?

“Lo spettacolo che più mi è rimasto impresso è forse quello che mi ha introdotto nel mondo del teatro. Avevo 13 anni quando a scuola la mia professoressa di Lettere innamorata e patita di Edoardo De Filippo decide di mettere in scena un classico: “Natale in casa Cupiello” affidandomi il ruolo di Luca Cupiello. Durante l’anno e durante le prove non mi rendevo conto di quanto fosse bello e di quanto mi stesse trasformando il teatro, finché non è arrivato il giorno della messa in scena. Gli applausi, la gente che pendeva dalle mie labbra durante le performance, governare il pubblico e la sua risata è qualcosa che mi ha affascinato da subito. Questo sicuramente è il teatro che ricordo, oltre per il testo incommensurabile, anche a livello affettivo perché quello che mi ha avvicinato al teatro stesso. Invece lo spettacolo che mi ha fatto capire che questo sarebbe stato il mestiere della mia vita è l’ultimo spettacolo da amatore, un rifacimento di Vacanze Romane, di Garinei e Giovannini.”

Dai 13 anni in poi hai affrontato il teatro sul palcoscenico, facendoti dirigere da chi potevi prendere sicuramente esempio per il ruolo di regista. Come nasce Gianni D’Amato nelle vesti di regista?

“C’è stato un momento nella vita in cui ho deciso di voler dire qualche cosa in più rispetto al singolo personaggio. Volevo che tutto quello che fosse messo in scena, fosse una visione di come io vedevo il mondo, una mia visione della società. Allora mi metto a scrivere, butto giù dei pezzi. Inizio con “We We Scikkeria”, che è stato il primo spettacolo messo in scena dalla compagnia nel maggio del 2012.”

Il primo capolavoro di D’Amato “We we Scikkeria” porta in un unico atto dodici attori sul palco per riscuotere un successo non indifferente che li porterà anche ad occupare uno spazio d’onore sul manifesto di Giffoni Teatro nell’agosto del 2012. Un posto migliore, una terra promessa che non arriva mai, due studenti che partono per Milano alla ricerca di fortuna, un liet motiv che si ritrova nei testi dell’autore: la ricerca del proprio sogno, un sogno pieno di difficoltà e difficile da raggiungere.

La Compagnia ‘Le Ombre’. Per un ragazzo giovane di soli 25 anni, è comunque una grande responsabilità prendere le redine di una compagnia teatrale, quindi già da qui si capisce quanto ami il teatro. Cosa ti spinge a creare la tua compagnia?

“Come ti dicevo ad un certo punto della mia vita ho sentito la necessità di dire la mia. Per dire la tua devi scrivere qualcosa. Per far parlare ovviamente la tua opera devi portarla sulla scena, dal cartaceo al movimento dei corpi sul palco. Chi può seguire un pazzo con testo inedito con dodici attori? Chi può seguire un folle? I tuoi amici di sempre che hanno la tua stessa passione. Quindi si chiacchierava con loro, i quali alcuni di loro sono stati da ispirazioni per la stesura delle mie creazioni. Il semplice vedersi per un caffè oppure per mangiare una pizza diveniva uno sketch vero e proprio. Credono nel testo, credono in me.”

Il fatto che qualcuno credesse in te e in quello che realizzavi ti ha dato un maggiore slancio nel continuare a scrivere. E’ questo il sogno che stai realizzando?

“Il mio sogno è realizzato. Il mio sogno non era diventare chissà chi, era solo di vivere di questo mestiere. Ovviamente si punta sempre in alto, essere comunque noto ma non per fama o per successo, perché la necessità di dire ciò che penso è un qualcosa di importante per me. Tante persone che ascoltano la mia sulla società diversa.”

La tua opinione, ciò che pensi. Può essere definita una denuncia?

“Si e no. Le Compagnie dell’arte dovettero scappare perché i banchieri non le vedevano di buon occhio, dicevano troppo la verità. Il teatro ha sempre raccontato una verità scomoda al corrotto, a chi pratica una vita non giusta. Siamo chiamati, oltre che alla bellezza, siamo chiamati a dire la verità, che purtroppo è sempre scomoda per qualcuno.”

Giovane regista che si immette all’interno della società, una società in crisi dove purtroppo non c’è guadagno per il mondo teatrale. Quanto influisce la crisi in tutto questo?

“Nel secondo spettacolo andato in scena “Poteva andare peggio” racconto la crisi morale che porta ad una crisi economica, un decadimento di una certa moralità che non c’è più in un globalizzato. Il volere a tutti i costi la meglio anche sul semplice migliore amico è grave, il voler sopraffare rende più difficile portare la gente al teatro. I costi si fanno sentire, anche a livello amatoriale. Si preferisce restare a casa a vedere un film in tv, piuttosto che andare a teatro. La crisi si fa sentire, soprattutto per la crisi del teatro. Una crisi creativa, come anche il cinema. O si persegue una linea del tutto sperimentale che vuole sorprende ma c’è gente che si siede che non comprende a pieno questa sperimentalismo. L’attore ha bisogno del pubblico. Un attore senza pubblico rimane con le luci spente dietro a un sipario chiuso.”

“Tre sogni in affitto”, il tuo ultimo capolavoro. Perché questo titolo e come si sviluppa la storia?

“Lo spettacolo parla della società. Due artisti in crisi, due attori della nostra zona partono alla volta di Roma, vanno alla ricerca di fortuna nella capitale del cinema. Provano a realizzare il loro sogno ma non ci riescono perché devono cercare di mantenersi per vivere. Lo spettacolo inizia con uno specchio rotto, sette anni di disgrazia e da quel momento accadono delle cose strane: si presentano ai nostri protagonisti tre fantasmi, o meglio tre sogni. Attori di primo novecento, senza fare riferimento a nessuno che vogliono avvisare che i protagonisti del loro futuro incerto, un modo per salvaguardarli. Si susseguono una serie di momenti divertiti. Dinamiche folli tra i personaggi scaturite da un medicinale che viene somministrato a entrambi i protagonisti. Molto divertente, almeno noi ridiamo, ma ad ogni spettatore va la propria interpretazione. I tre sogni non sono altro che i fantasmi.”

Gianni D’Amato nelle sue commedie racconta la società d’oggi vista con occhi di giovani alla ricerca di un sogno proprio come i protagonisti di ”Tra sogni in affitto”, ragazzi che pur di realizzare il proprio sogno lo trascurano in parte per poter almeno riuscire a vivere, un critica alla società moderna che riempie la testa dei ragazzi di sogni senza illustrare i mezzi per realizzarli.

Articolo di Clemente Donadio

Foto di Chiara D’Amato

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