A quanto pare l’apprendimento dei figli è influenzato dal reddito familiare. È l’inquietante rivelazione di una ricerca dell’Università di Stanford: un bambino di famiglia benestante ascolta in famiglia circa 12mila parole a lui dirette al giorno, mentre un suo coetaneo cresciuto in una famiglia dal reddito più basso ne ascolta in media 670. Ne risulta che: i primi apprendono più velocemente, perché chi ascolta più parole è in grado di apprendere più velocemente,e di incrementare il proprio bagaglio linguistico, per cui farà meno fatica a imparare a leggere e a scrivere.
Le differenze nell’apprendimento comincino nella prima infanzia. La psicologa Anne Fernald, infatti, ha dimostrato che già a diciotto mesi di vita, un bambino di una famiglia benestante (il cui reddito procapite medio si aggira sui 69mila dollari) è in grado di identificare più velocemente parole come “cagnolino” o “palla”, rispetto a un bambino cresciuto in una casa dove il reddito pro-capite del quartiere si attesta sui 24mila dollari l’anno. La differenza, anche se calcolata in termini di millisecondi, è considerata una misura fondamentale della velocità dei processi cognitivi. Nei sei mesi successivi, cioè entro i due anni di vita, i bambini delle famiglie più ricche hanno imparato il 30% di parole in più dei loro coetanei di famiglie a basso reddito. Con il passare del tempo, quando i bambini arrivano alle elementari, il figlio di una famiglia meno privilegiata risulta indietro fino a due anni rispetto ai coetanei di famiglie benestanti.
È il cosiddetto “development gap” ovvero le disuguaglianze dello sviluppo, una disparità che cresce fra i bambini e che ha enormi ripercussioni sull’istruzione e sulle possibilità di carriera. Siccome il linguaggio è legato a doppio filo con la capacità di comprensione della parola scritta, molti bambini di famiglie svantaggiate si trovano ad affrontare un gradino più alto quando cominciano la scuola. E, molto difficilmente, recupereranno il terreno perduto in partenza.