Sono un duo eclettico, e vengono dalla Piana del Sele, loro sono i Maybe I’m, Ferdinando Farro (chitarra e voce) e Antonio Marino (Batteria e percussioni). Non sono nuovi sulla scena musicale, i Maybe I’m nascono nel 2007, infatti, come progetto solista, nel giro di una settimana esordiscono con il loro primo demo “Satan’s holding a little room for me” pubblicata dalla net-label Recycled Music. Nella primavera del 2010 viene rilasciato per la Jestrai Record il primo disco, “We mast stop you” in seguito al quale li porta sul palco del “Wow Tour” come supporter dei Verdena. A Marzo del 2012 esce sempre per la Jestrai Records “Homeless ginga”, un disco che gode di un favoloso successo e permette alla band di portarlo in giro con un tour sterminato. A circa due anni di distanza ecco Bwa Kayiman, terzo album della band targato Jestrai Record e che verrà presentato questa sera alle 22 presso l’ex scuola Canalone a Salerno. Pur discostandosi dal precedente ‘Homeless ginga’, questo nuovo album si presenta come una vera e propria lezione di originalità. La band ha saputo coniugare coerenza e originalità, condensando ritmi energici, ballate afro, e il blues delle origini, influenze diverse e in continua evoluzione che colpiscono chi lo ascolta e lo catapultano in un mondo lontano fatto di reminescenze oniriche. Brani come ‘Education of a young citizen’ , che apre l’album, ‘Bwa Kayiman’ rivelano chiaramente che siamo di fronte ad un disco pazzesco, i ritmi tribali, i violenti stacchi vocali, delle percussioni sembrano condurre chi lo ascolta in un mondo lontano, ancestrale, dove la mente quasi si perde negli anfratti bui dei ricordi. In ‘Sele’ oltre al sax di Andrea Caprara il ritmo si fa più inquietante dal finale carico di tensione come un’esplosione di colori. A chiudere il cerchio della danza con una lenta ballata oscura che sa di vecchio blues, rimane ‘Tutto quello che sai è falso’.
Otto tracce tutte caratterizzate da ritmi frenetici che spaziano dal folk al blues fino a confinare in un anti-rock dilaniato da frenetici suoni tribali, il che dimostra la maestria e la grandezza di questa band capace di sorprendere il proprio pubblico e di non deluderlo anche a distanza di anni.
Bwa Kayiman, il vostro III album, esce oggi per la Jestrai Records. Il titolo a cosa si riferisce?
“Bwa Kayiman è il nome di una cerimonia voodoo celebrata il 14 Agosto del 1791, presieduta dal sacerdote hougan Dutty Bookman e a cui presero parte gli schiavi di Santo Domingo, all’epoca colonia francese. Da questo rituale prese il via una rivolta che renderà Haiti la prima repubblica nera al mondo, unico paese la cui indipendenza è stata frutto di una rivolta di schiavi non manipolati da oligarchie appartenenti ad altre classi sociali.”
Otto tracce straordinarie compongono questo album, caratterizzato da suoni ritmici rituali d’Africa e mistiche ancestrali del voodoo haitiano. Come nascono i vostri pezzi?
“Non seguiamo nessun metodo prestabilito, ogni pezzo può avere una genesi diversa, anche se spesso partiamo dal ritmo. In sala prove portiamo solo embrioni, nessuna idea sviluppata, poi semplicemente cerchiamo di farli crescere nella maniera più naturale possibile. Quello che accomuna un po’ tutti i pezzi è il fatto che procediamo in maniera quasi “visiva”, parliamo spesso del mood dei pezzi descrivendo immagini.”
L’anno scorso è uscito ‘Paraponziponzipò’, disco in collaborazione con Bokassà, dove avete riscoperto il lato Afro più oscuro del duo. E’ stata questa collaborazione ad ispirare Bwa Kayman?
“Di sicuro tutto ciò che fa parte del tuo percorso finisce per influenzarti, in maniera più o meno inconscia. Lo split coi Bokassà è stata una bellissima tappa che di certo ci ha fornito degli spunti interessanti da sviluppare.”
Homeless Ginga del 2012, è stato un disco straordinariamente accolto dal pubblico e suonato in lungo e in largo, ma Bwa Kayiman se ne distacca un po’, forse perché avete voluto dare un tocco in più o meglio delle sonorità diverse al nuovo album?
“Di intenzionale e premeditato in quello che facciamo non c’è nulla, “Bwa Kayiman” sidiscosta da “Homeless Ginga” semplicemente perché sono passati due anni. Consideriamo la musica come una componente inscindibile dal vissuto quotidiano ed è quindi inevitabile che le vicissitudini personali, molto più di influenze musicali dovute agli ascolti, si riversino in quello che facciamo.”
Siete spesso in giro per l’Italia, lo dimostra anche il vostro tour appena iniziato e già ricco di date,
6 Marzo – Latina – Circolo Hemingway 7 Marzo – Bergamo – Café de la Paix (ex Bar del Polaresco) 8 Marzo – Lodi – CLAM 9 Marzo – Seregno (MI) – Casa Malasangre 10 Marzo – Brescia – Revisionarlo
14 Marzo – Salerno – Ex Scuola Canalone e tante altre date a seguire, come viene accolta la vostra musica in giro?
“ ‘Accogliere’ per noi è una brutta parola, legata al concetto di entertainment, che con noi spero abbia molto poco a che fare. Cerchiamo di impostare il live con una dimensione “circolare”: stiamo tutti qua, ai bordi di un cerchio, aspettando che in mezzo si materializzi qualcosa, e ognuno cerca di fare la sua parte. Chi suona non è più importante di chi ascolta, ognuno dà il suo contributo, se qualcuno si porta uno strumento da casa e vuole suonare può farlo. Chiaramente sarei falso a dirti che questa cosa riesce sempre ma è questa la dimensione a cui tendiamo.”
In questo disco sono presenti anche delle collaborazioni, puoi parlarcene?
“Sì, su quattro pezzi del disco ha suonato il sax Andrea Caprara (Squarcicatrici, Tsigoti, e altre formazioni…) che è una persona per la quale nutriamo una stima immensa, oltre ad essere un musicista strepitoso. In Commen-sale invece è presente un featuring con Cazzurillo, che ha inserito voci, pianole e molta follia. Vi invitiamo ad ascoltare la sua produzione solista perché merita davvero. Su Sele abbiamo avuto il piacere di ospitare un nostro amico di vecchia data, Anacleto Vitolo, in art AV-K Prod, uno dei producer attualmente più attivi e poliedrici in Italia.”
Il vostro è un genere molto personale caratterizzato da ritmi frenetici che spaziano dal folk al blues fino a confinare in un anti-rock dilaniato da frenetici suoni tribali, ma ci sono dei musicisti ai quali vi ispirate o che in qualche modo vi hanno influenzato?
“La lista sarebbe davvero infinita, siamo musicalmente onnivori, spaziamo dal black metal al pop senza soluzione di continuità. Di sicuro ci interessa tutta la musica in cui riusciamo a percepire la realtà di chi l’ha prodotta.”
Un pezzo come Sele, dove preponderante è il suono del sax, di cosa parla?
“Il Sele è il fiume che sta dietro casa mia, e nel testo è diventato lo spunto per una riflessione su come siamo abituati a vedere la natura come qualcosa di bello e soprattutto che ormai riusciamo quasi sempre a dominare, una componente quasi meramente estetica del paesaggio che l’uomo sfida continuamente (parlando del Sele sono decine le costruzioni abusive lungo gli argini che vengono danneggiate ogni volta che straripa). Quello che ci si dimentica spesso è che la natura in realtà è una forza pulsante che andrebbe trattata con rispetto e venerazione e che se sfidata finisce irrimediabilmente per sopraffarci.”
Perché secondo voi ‘ Tutto quello che sai è falso’?
“Diciamo che una parte di quello che sai può anche essere vera, ma il nostro è un invito al dubbio”.
Alessandra Agrello